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inViaggio, 2025

PARTIRE DA LONTANO

Nella 59° Biennale di Venezia, che aveva il titolo suggestivo de “Il Latte dei sogni”, curata non a caso da una donna, Cecilia Alemani, lo sguardo del mondo dell’arte si vivificò per il numero delle presenze femminili di ogni tempo, ma non era solo una questione di numero, bensì di rilettura e riscrittura di molti temi fondanti. Così, nel saggio in catalogo “La sporta: una teoria della narrazione”, Ursula K. Le Graun scrive: “Il primo supporto culturale è stato con ogni probabilità un recipiente. Molti studiosi ritengono che le prime invenzioni culturali debbano essere state un contenitore per custodire i prodotti raccolti e qualche specie di tracolla di rete”. Non più la pietra affilata e l’uomo cacciatore, quindi: all’origine della collettività umana sta l’attività di raccolta, per conservare e vivere, dalle foglie alle reti ai vasi, per tenere tutto nelle abitazioni, che non sono che contenitori di persone, alle gravidanze, dove le donne si fanno a loro volta contenitori, ai santuari, che contengono sogni e speranze.

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Una storia dell’umanità che si prende cura, piuttosto che partire dalla caccia e dalla violenza, è quanto di più affine al lavoro di Maria Maddalena Manna.

La sua intera esistenza, infatti è segnata dall’atto del raccogliere e dalla certezza che solo con il confronto, l’ascolto e la condivisione l’arte può germogliare ed essere generativa. È alla luce di questa riflessione che va letta l’esperienza dell’artista con altre donne, per perfezionarsi nella ceramica, farne un’attività professionale e al tempo stesso un terreno di ricerca, andare in Umbria per imparare da maestri come Fumanti, dove ha deciso di prendere la strada della decorazione più che quella del tornio, provare l’esperienza del teatro povero, incontrare Grotowski, sperimentare materiali, vivere nel clima del fermento dei movimenti legati alle battaglie femministe.

 

Lavorare la ceramica significa, in fondo, dare forma a un’idea, e la palestra politica di quel periodo era molto simile al lavoro con l’argilla. Nel creare, riempire dei vuoti, che fossero di forme o di leggi, l’impegno mentale, e anche collettivo, era molto simile.

Ma Maria Maddalena è curiosa dell’incontro con l’altro, il gruppo di artiste di cui faceva inizialmente parte si scioglie, perché ogni esperienza ha i suoi tempi, e lei eredita – di nuovo un’eredità nel segno del femminile – i materiali. Acquista un proprio forno e sperimenta nuove tecniche di impasto, di riduzione e cottura, di stesura dello smalto, e prende così l’avvio la realizzazione di molti degli esemplari esposti ora in mostra. Il passato, però, ha un peso, perché racconta chi siamo e mette a nudo le radici, ed è per questo che nell’ordine del suo studio l’artista ha un archivio, una specie di iconostasi da terra a cielo, dove si trova un racconto per oggetti del suo intero percorso, dalle produzioni fatte su richiesta di negozi a quelle realizzate per sé.

ABITARE LO SPAZIO

Non a caso si è scritto che se l’umanità non parte cacciatrice ma raccoglitrice, allora il primo oggetto è stato un contenitore, e quando uomini e donne non sono più nomadi, e creano una casa, anche quella è un contenitore, non a caso, appunto, perché questa mostra ha sede in uno spazio abitativo, che porta traccia di un progetto di vita. Trasformare una casa in una galleria non è stato, in questo caso, un cambio di destinazione d’uso, ma la tenuta nel tempo di un’idea, quella dello stare, che di volta in volta ospita artisti e opere diverse, accogliendoli nel segno dell'ospitalità.

È l’idea di abitare, quindi, che ha segnato la scelta delle opere da esporre, nel rispetto per l’identità nello spazio, ma anche perseguendo un’idea di accoglienza dell’altro che fa parte del carattere e della dolcezza dell’artista. Si può, allora, accompagnare lo sguardo di chi entra a vedere questa mostra lavorando su un’idea di stanza, pensando che questa parola non indica solo uno spazio abitativo, ma anche una parte di un più grande poema.

LA PREGHIERA

Il primo nucleo, quindi, prende forma attorno a un grande tavolo ovale, da sempre luogo di dialogo, pausa, ascolto, narrazione, condivisione. Qui le pareti sono dedicate alla preghiera, che nelle case dell’oriente, dall’ebraismo all’islam al buddhismo, è evocata sempre all’ingresso con un segno visibile.

Lo sguardo sarà catturato da Oro enigmatico, un piatto dorato, oggetto legato a presentare e porgere, con sei volti di Guan Yin. Il nome è quello di una divinità buddhista cinese, e significa “colei che rivolge lo sguardo al suono delle grida del mondo”, ma l’artista è una tessitrice di storie, e qui il mondo orientale va a mescolarsi ad antiche storie di streghe nella Torre del Vescovo, a Pisogne, e a intrecciarsi con la natura. Sei volti, diversi ma nati da un’unica matrice, prendono nella cottura colori diversi, e all’artista ricordano un’esperienza di scavi archeologici in Sicilia, dove torna ancora il tema del portare alla luce, e del rapporto con la terra.

Questi sei volti parlano dell’atteggiamento di compassione ed ascolto, e trovano eco in Sorgono le dee della compassione, volti in ascolto su un ceppo di legno, perimetrati da un recinto di chiodi che però, più che imprigionarli, sembra sostenerli e tenerle ritti, in ascolto costante.

È allora comprensibile il dialogo ravvicinato con Canneto preghiera, dove le forme della natura sembrano farsi papiri piegati e arrotolati, ad accompagnare le Guan Yin, e con Universo 1 e Universo 53, il primo pare  accogliere sulla sua superficie increspata la magia dell’acqua che si fa cielo, e il secondo il magma da cui nasce il cosmo, in un’ulteriore immersione nel mondo della natura.

LA STORIA DELLE STORIE

Qui, infatti, si dispiega un racconto che abita le terre del mito, e che si apre nel segno di un muro d’acqua, Acqua Lastra, appeso a parete, che poeticamente sembra condensare gli innumerevoli viaggi, per terra e per mare, segnati da passione, tragedie e gesti efferati, compiuti da Medea, uno dei personaggi più drammatici della letteratura greca. 

È il rosso a caratterizzarla, non solo il rosso che deflagra nella forma circolare di ceramica, ma anche quello che sembra sgorgare da Rosso, tracimando dai bordi, colore dei sentimenti più irrazionali e selvaggi, ma anche colore di sangue versato, di desiderio.

Di nuovo la forma del contenitore sembra poter dare pace e confine; la tempesta di sentimenti che agita Medea, e che si distende sulla forma piana, viene arginata e si ricompone, quasi a pacificare la violenza e trovare un luogo per raccogliere il portato del dolore e della follia, ricomporre gli odii, e ripensare alla quiete. Le pareti di questo vaso hanno il nero della terra fertile: alle uccisioni perpetrate da Medea, nella sua furia di donna tradita, si risponde confidando nel potere salvifico della terra, capace di rigenerare anche dopo le più tremende devastazioni.

Dopo quest’immersione nella deflagrazione visiva delle emozioni lo sguardo cerca un appiglio di quiete e lo trova a sinistra: Oriente 1 e Rakuinblu sul capitello, in dialogo con il blu silenzioso di Pozzo dentro, acquietando l’animo e predisponendolo per la seconda parte della mostra. 

 

LA SOGLIA DELL’OFFERTA

Lo spostamento all’altra parte dello spazio spinge a passare, metaforicamente, attraverso due colonne d’Ercole, due forme verticali, che trovano il loro respiro nell’essere appoggiate a una parete. Da una parte le Colonne devozione, in muto dialogo con le opere dedicate alla preghiera, viste all’ingresso, raccolte intorno al tavolo. Di fronte il gruppo del Bosco di Pepi, l’immagine scelta per raccontare la mostra. Sono due lavori che nascono in muto dialogo con un luogo. La loro natura di installazioni, infatti, mette in luce il tema della relazione che Maria Maddalena Manna infonde in ogni opera. Installare, infatti, significa pensare a un oggetto per un luogo specifico e, in questi due casi, significa trasfondere le memorie in un’opera che faccia testimonianza di una suggestione in uno spazio preciso.

Le Colonne devozione sono state create proprio per l’occasione nata dalla chiesa di sant’Antonio a Breno, e assumono su di sé la calda gamma cromatica del pittore bresciano. Devozione, nel suo profondo significato, richiama non la preghiera ma l’offerta, quasi l’artista avesse voluto offrire il suo lavoro come omaggio a Romanino.

Ma è un’offerta anche quella che sta alla base del Bosco di Pepi; da un interno si passa a un esterno, da una chiesa al bosco e al fiume dove Pepi, una donna cara all’artista, amava stare. Pepi aveva avuto una vita segnata da sacrifici e difficoltà, però non per questo aveva rinunciato a un tratto fondamentale dell’umanità, quello della gentilezza e della generosità. Ricambiava chi le offriva farina cucinando biscotti, ad esempio, in una sorta di devozione umana allo scambio generativo, alla cura dei legami. Le tazzine evocate in questa installazione parlano non solo di condivisione di un’offerta ma rimandano anche all’antica usanza delle libagioni, versare latte, vino o miele in onore degli dei o dei defunti, in un racconto di elogio della gratuità e dello spreco generativo, non contaminato dalla riflessione sull’utile, ma in armonia con l’idea di sacro.

I COLORI DEL LAVORO

Lo spazio successivo si apre in due ali, segnate, come a tracciare un immaginario confine, da due basi specchianti su cui sono posti Vaso Minerale 2, vicino al Bosco di Pepi, e Vaso Vegetale 2. A fare strada è ancora una cartografia, Mappa 72, appiglio per muoversi nei luoghi d’affezione di Maria Maddalena Manna. Racconta un’arte che si sostanzia sia della relazione feconda con il territorio, con il fiume Oglio, il Pizzo Badile, ma anche con una intensa spiritualità, fatta di piccoli riti quotidiani, di attenzione a sé, agli altri, alla pratica severa del lavoro. 


Lì di fianco, vicino a Cavallino, come una legenda, non solo della mappa ma di tutte le opere mostrate, sta una sorta di campionario dell’alfabeto cromatico usato dall’artista. 
Appese sul muro del suo laboratorio, e trasportati qui come testimonianza viva, queste Tessere sono un ibrido tra un’opera e un utensile: portano testimonianza visibile dei colori, di come prepararli, e la loro perfetta forma geometrica, in realtà, si intreccia al racconto della fatica e del lungo processo che accompagna la creazione artistica.

Le Tessere sono la chiave per leggere i colori variegati di Rito Verde e Vaso Vegetale 1, che richiamano la tastiera coperta del pianoforte, come se suonate generassero le diverse tonalità, e le sfumature luminescenti di Lago, con il colore scuro, e al tempo stesso luminoso, delle acque. Di fianco a Lago, secondo la logica dell’equilibrio cara all’artista, stanno Nero nave 1 e Nero nave 2::  non è una misura dello spazio occidentale, simmetrica, ma una sensibilità orientale, di pieni e vuoti, di alto e basso, di pesi e colori diversi, di luce e ombra. Passare lo sguardo su queste opere è come leggere un’enciclopedia di storia naturale sotto forma di scultura. Per l’artista la vita è riconoscibile in ogni cosa, in qualsiasi forma, e la sua acquisita maestria nell’uso dei pigmenti, degli ossidi e degli smalti riesce a dare sostanza a queste forme che, senza negare la vocazione primigenia di contenere – un tratto che si è visto più volte nelle sue opere qui in mostra – si elevano per diventare anche superficie pittorica. Iridescenti, con una mappa vibrante di colori, che rendono ancora più percepibile la texture irregolare e stratificata della ceramica, queste forme sembrano creare con Lago un paesaggio metafisico, composto da invasi ed emergenze.

NERO COME LA VITA

Si dice sempre che il nero sia l’assenza di luce ma quando, nella seconda metà dell’Ottocento, gli artisti europei scoprirono le qualità pittoriche e poetiche del nero nell’arte giapponese, la pittura cambiò di colpo. Il nero non è tinta da aggiungere per scurire, o da evitare per avere luminosità, ma è colore che parla di terra, di fertilità, di vita, non è il buio, ma il principio da cui sorgerà la luce. Per questo, nel posare lo sguardo su Neri anelli, Neri anelli lucidi, Nero nave 1 e Nero nave 2, sembrerà di assistere a una trasfigurazione di Lago, Minerale 2, Minerale 1 e Vegetale 2.

A uno sguardo attento, infatti, lo spazio occupato da queste forme artistiche, ora basse, ora alte, assumerà la ritmica musicale di una partitura, quasi queste forme avessero un suono, fossero tese alla ricerca inesausta di un equilibrio. Cercassero sia uno stare sia un elevarsi. Che cosa è un anello se non un piccolo cerchio di memoria da portare con sé? E forse, moltiplicandolo in verticale, quasi per gemmazione, non si costruisce un monumento al pegno e alla memoria? E cosa è una nave se non un contenitore fragile, che cerca di dare sicurezza all’uomo nell’imprevedibile mare? E forse, accostando due navi, non si evoca la sorellanza e lo stare vicino come segno di forza e di alleanza?

Ecco, allora che il nero diventa davvero generativo di valori ed energie.

 

​LA PORTA DEL RITORNO

Uscendo dalla mostra l’invito è a sostare nel giardino. Ad accogliere, salutandoli, visitatrici e visitatori sarà Madre Terra Femmina, il cui significato si potrà comprendere più a fondo al termine dell’esperienza della mostra. In questo lavoro, già esposto al Museo delle armi bianche e delle pergamene di Gromo, si può leggere in controluce proprio la poetica dell’artista, fare di ogni opera un antidoto alla violenza.

Dove le armi parlano di penetrare, ferire e infliggere, Maria Maddalena Manna fa appiglio alla terra, a una fenditura nel corpo della donna che non è ferita ma vita. Le tre sculture, rosse di un sangue buono, sono collocate su una porta, elemento chiave che delimita una soglia, racconta la possibilità di entrare ed essere accolti nel segno sacro dell’ospitalità, e delimita, in questo caso, il perimetro del mondo dell’arte. Superarla significherà avere concluso la visita ma, al tempo stesso, avere la consapevolezza che un ritorno è sempre possibile e che questa casa dell’arte avrà ancora molte altre storie da raccontare.

 

Giovanna Brambilla

Storica dell’arte

Oro Enigmatico - ph. Alberto Nacci

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Canneto Preghiera 1 Canneto Preghiera 2 - ph. Pier Parimbelli

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Sorgono le Dee della Compassione - ph. Pier Parimbelli

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Mappa 98 - ph. Pier Parimbelli

© copyright maria maddalena manna 

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